NOTA BIOGRAFICA
Fabio Cuman (Varese, 1972) ha lavorato con noti artisti italiani e internazionali. Nell'arco di poco più di un decennio è stato protagonista di oltre cento mostre personali ed altrettante collettive. Oggi è un maestro che nel suo studio di San Giuliano Milanese, frequentato da numerosi allievi, alterna e contempera le attività creativa e didattica. Sue opere sono state recentemente battute in aste pubbliche (MeetingArt) e sono presenti nel museo Ungherese "Sellye" e in quello austriaco "Kunstlekreis Burksdtrechau". Si sono occupate di lui molte testate editoriali quali Arte Mondadori, Arte In, Il Corriere della Sera, Il Giorno, Il Cittadino, Il Corriere di Como, il Corriere del Ticino, l'Antologia d'arte L'Esagono. Sue opere sono state pubblicate in copertina e come illustrazioni del libro di poesia 'Canti alla luna' di Giacomo Leopardi (I libri delle muse, 2003). Cuman è presente con le sue opere presso numerose gallerie d'arte italiane ed estere, mentre lavora in permanenza presso "Arte Contemporanea e Dintorni" di Cono, "Studio d'Arte la fortezza" di Savona, "Atelier Chagall" di Milano. Numerosi cataloghi e monografie accompagnano la sua attività espositiva.
NOTA CRITICA
Mitologia di forma e materia
La forza dirompente che soggiace alla pittura di Fabio Cuman scaturisce e si alimenta dall’incontro - scontro di forze ancestrali e antitetiche: il Caos (la Materia informe, l’Inconscio) e un principio ordinatore che potremmo definire “cosmogonico”, ossia che tende a mettere ordine nel disordine e a trasformare il “Caos” in “Cosmo” (la Ragione, la Forma). Il “Pathos” contrapposto al “Logos”, per dirla con gli antichi greci. La personalissima, suggestiva e a tratti insondabile mitologia cumaniana da sempre trae linfa vitale da tale conflittuale e fecondo rapporto dialettico. Ieri come oggi. Anche se gli equilibri, periodo dopo periodo, mutano, e di volta in volta sembra prevalere la Forma (il disegno) o la Materia informe (il trattamento pittorico). Da anni, quotidianamente il giovane artista combatte contro i suoi demoni. E il campo di battaglia è la tela, e le armi che egli utilizza... O forse no. Forse la metafora è fuorviante. Forse non si tratta di una battaglia, ma piuttosto di una incantagione. In una battaglia lo scopo è l’annientamento, la sconfitta dell’avversario. In un incantesimo invece ci si prefigge di “ammaliarlo”, catturarlo nelle reti del rito magico per soggiogarlo e piegarlo ai propri voleri: “domarlo”, magari solo per un breve tempo. Per questo le opere di Fabio Cuman ci appaiono così oscuramente evocative: perché l’azione catartica della sua pittura non ha sconfitto le forze primigenie dell’Inconscio (paure, emozioni irrazionali, sogni, pulsioni profonde, deliri), ma ha ingaggiato con queste una specie di mistico e sensuale “corpo a corpo”: una sorta di danza sciamanica capace di tenerle, almeno per un poco (e forse solo in parte), sotto controllo. Il Mito serve a questo. Anche a questo. Raccontare, dipingere delle storie serve anche a questo. Come Orfeo che cantando incanta gli Dei degli Inferi. Egli non li uccide: li commuove. La sua arte riesce per qualche istante a sospendere il tempo, ad aprire uno spiraglio nel consueto e ineluttabile volgere degli eventi. E salva dalla ferocia dell’oblio ciò che ama. Per un istante.
Virgilio Patarini