NOTA BIOGRAFICA
Fiorenzo Bordin vive e lavora a Novara. Inizia il suo percorso artistico frequentando i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Brera e la Scuola Superiore d’Arte del Castello Sforzesco di Milano, dove si diploma nel 1982. La prima mostra personale di fotografia si tiene nel 1986 presso la Biblioteca comunale di Lomazzo (Como). La sua “conversione” all’espressione fotografica è particolarmente intensa e consapevole. Dal confuso contesto metropolitano l'autore riesce ad astrarre personaggi espressivi e situazioni significative, tanto da costituire quasi una serie di icone mediatiche di un mondo caratterizzato da una rapida e incessante evoluzione e da una irreversibile diversificazione culturale e sociale. In alcune foto il colore è volutamente ridotto a pochi toni essenziali che ne rafforzano decisamente la struttura grafica, suggerendo una lettura di tipo simbolico che va senz’altro al di là dei limiti del soggetto e del contesto.
NOTA CRITICA
Kairòs e “non senso” nella Berlino di Fiorenzo Bordin
Nel flusso vitale della moderna urbanizzazione – quale è Berlino, nelle istantanee di Fiorenzo Bordin – sembra riattualizzarsi la figura mitica e simbolica del “viandante”, inserita in contesto vario, polimorfo, e ridondante di vivacità cromatiche, da cui sembra addirittura diramarsi una tessitura sonora, sprigionata dall’effluvio di colori e di immagini in movimento.
Il messaggio immediato che se ne ricava è che Berlino sia una città intenta a voler recuperare “il tempo perduto”, dopo l’abbattimento del muro, e la cronologia che campeggia sullo sfondo di una foto, dal 1961 al 1989, su cui scorre veloce – parallelamente alla successione numerica - una figura in bicicletta, sembra suffragare tale interpretazione.
“Il viandante”, metafora della coscienza che ricerca un approdo di conoscenza e di disvelamento, in un itinerario inesausto tutto scandito nel tempo dell’interiorità, in realtà, attraverso lo sguardo “ermeneutico” di chi fissa con il mezzo fotografico un frammento di vita, è soltanto una figura su uno sfondo, appiattita per consonanze cromatiche e geometriche sulla scenografia del gran teatro del mondo. Il tempo risucchia tutti nel suo vortice, realtà materiale e uomini, rivelando l’inconsistenza e l’irrealtà del nostro affannarci quotidiano.
Siamo segni e colori, null’altro, come le cifre sul muro, inizialmente brillanti, ma destinate inesorabilmente a svanire.
Vi è solo una coscienza che permane in modo residuale, pronta a operare nel tempo, sfidandolo, al fine di cogliere “il momento giusto” – il Kairòs dei greci -. E’ la soggettività dell’autore delle fotografie, che osserva, considera, prefigura, e nell’istante preciso dello scatto conferisce senso estetico, magia e incanto al nostro inutile muoverci, girovagare, o restare assorti nel vuoto.
Rossella Pesce