NOTA CRITICA
DA: I GIUDIZI DI SGARBI – Giorgio Mondadori Editore 2005
Luciana Schiazza è portatrice di una sperimentazione che alterna o compone insieme pittura e scultura, in una dialettica espressiva che fa di lei un’artista insolita e di singolare efficacia. Amando evidentemente trasporre sulla materia plastica e pittorica i propri ritmi interiori, il suo lavoro si sviluppa lungo un alternarsi di momenti complementari, ch riflettono razionalmente non solo le intermittenze tormentose della sua coscienza critica, ma anche le fratture connesse a un quotidiano sempre più incomprensibile e contradditorio. Erede diretta di un espressionismo informale, la sua esigenza di approfondimento la porta persino a re immettere a volte la figura nella sua ricerca, che appare in un interessante e corposo lavoro realizzato in tessa da fuoco. Tutto il suo modo di operare rivela un’ansia creativa che si realizza nella continua reinvenzione plastica e pittorica, e nella manipolazione di materiali nuovi e diversi. Questa caratteristica la costringe a sfuggire la ripetitività, a cercare ogni volta di non adagiarsi sulle certezza acquisite grazie alle sue notevoli doti progettuali ed esecutive. I risultati che ottiene nell’uso e nell’assemblamento dei gessi, dei pastelli, del collage con brandelli di tela, della terra dell’acrilico e delle lamine metalliche preziose, evocando paesaggi mentali, superfici drammatiche, luminosità coloristiche calde e tangibili. Artista tra il figurativo e l’espressionismo lirico Schiazza lega la sua poetica alle suggestioni materiche, dove l’emotività del suo sentire intreccia un dialogo fertile soprattutto con la calcolata rudezza delle superfici. La terracotta stessa, che solitamente è sostanza calda e conciliante, assume un’inaspettata valenza drammatica sotto l’effetto di un intervento perentorio e tagliente. La forma stilizzata si completa in questi casi con sovrapposizioni di materiale diverso che ne accentuano lo straniamento, confermando la vocazione antidecorativa della scultrice. Considerazioni analoghe vanno fatte per le opere pittoriche, dove tuttavia emerge una scrittura più pacata, anche a causa dell’uso di cromie luminose, e di inattesi giochi prospettici dati dalle sovrapposizioni di forma piane su fondi monotonali, perlopiù scuri. Usando l’acrilico la pittrice organizza uno spazio informale che tende allusivamente a un riconoscibile, e persino all’illusione ottica di spazi chiusi illuminati dai raggi di una astro notturno. Le campiture sono spesse e delicate, componendosi in elementi significanti che si sottraggono ad una decifrazione simbolica, per proporre solo la loro realtà ontologica di presenza scenografica. La sicura impaginazione geometrica di queste opere mostra una progettualità meticolosa, e una gestualità calibrata, molto lontana da certi automatismi che connotano spesso l’espressionismo informale. A queste immagini presiede piuttosto una tensione morale, l’accoglimento forse di uno stimolo emotivo provocato da un evento perturbante. Ma la traduzione sulla tele di questi elementi, si attua con rigore attraverso l’uso di una ragione estetica che evita l’enfasi retorica, e comunque si presenta come un’esplicita volontà comunicativa motivata e premeditata. Se nelle opera di Schiazza sussiste sempre, agli occhi di un osservatore attento, la traccia di una carica passionale intensa, và detto che questa autrice sa esercitare un fermo controllo sul fervore della sua espressività. Nel suo caso, pertanto, proprio l’ecletticismo che le consente di muovermi agevolmente su mezzi e con materiali diversissimi acquisisce la valenza di una cifra stilistica personale e inconfondibile.